Archivi del mese: luglio 2010

Dalla ricerca di Dio al tentativo di evitarlo

Ho letto due libri molto interessanti negli ultimi giorni: La teoria del tutto di Stephen Hawking e Costruire la macchina del tempo di John Gribbin. Inoltre sto leggendo (con esasperante lentezza) Così parlò Zarathustra di Friedrich Nietzsche.

Di Zarathustra ho letto poche pagine, ma ho subito trovato una frase che esprime quello che credo sia uno dei concetti principali dell’opera:

Io vi scongiuro, fratelli miei, restate fedeli alla terra  e non prestate fede a coloro che vi parlano di speranze ultraterrene! Sono avvelenatori, lo sappiano o no (pag. 31 ed. Newton Compton)
Fedeli alla terra e lontani dai miraggi ultraterreni, cioè dalle religioni e da qualsiasi forma di pensiero trascendente che ignori il corpo, la materia. Dovremmo, pertanto, fuggire l’idea di Dio, in special modo di un Dio nella forma che solitamente si assegna alle divinità, con tutte le caratteristiche di incorruttibilità ed eternità e onnipotenza che porta con sé da sempre, parallelamente alla nascita dell’uomo.
Anche nei due libri scientifici che ho citato è presente la stessa idea, soprattutto nel libro di Hawking (quello di Gribbin ha un altro scopo rispetto a quello di descrivere teorie cosmogoniche e cosmologiche, sebbene le includa comunque). Non so se avete presente chi sia Stephen Hawking: è senz’altro il fisico più famoso e più autorevole. Naturalmente è molto famoso anche per la sua infermità, che lo costringe all’immobilità pressoché totale, e alla comunicazione attraverso un sintetizzatore.

Stephen Hawking

Dico che è famoso anche per la sua infermità perché, innegabilmente, ci sono molti altri fisici bravissimi ma sconosciuti, o ancora conosciuti col loro nome (come Roger Penrose) ma non col loro aspetto. Il ragionamento qualunquista secondo il quale il destino (o Dio) ha tolto ad Hawking una vita normale ma gli ha donato un cervello impareggiabile è dunque falsa; Einstein non aveva un aspetto particolarmente orribile!

Cos’è arrivato, per dirla proprio con Hawking, all’ “uomo della strada” relativamente alla nascita dell’Universo? Tutti sanno che la teoria prevalente sulla nascita dell’Universo è quella del Big Bang, cioè la grand esplosione che ha dato origine all’Universo. Le  teorie, però, portano (sia dal punto di vista matematico che basandosi sull’osservazione) verso la cosiddetta singolarità, che, dal punto di vista della fisica è un punto infinitamente denso, in cui cioè l’attrazione gravitazionale tende all’infinito, e in cui il tempo non esiste. Capirete bene che se l’Universo è nato da una singolarità, che è una realtà fisica e matematica provata, la faccenda diventa imbarazzante perché, lungi dall’eliminare la figura di Dio (qualunque cosa significhi, non parlo di un Dio in particolare)  porta invece dritti dritti in quella direzione. Immagino che Margherita Hack abbia avuto le convulsioni di fronte ad una simile possibilità.

Cos’è successo poi? Per evitare la singolarità si sono cercate teorie alternative. Ora non voglio né posso entrare nel dettaglio (in fisica e matematica sono una schiappa tendente ad infinto), ma è assolutamente assurda la motivazione per cui sono nate queste teorie…cioè per evitare una conclusione che è in accordo sia con le osservazioni dell’Universo sia con la teoria che descrive in maniera precisa l’Universo, ossia la teoria generale della relatività di Einstein, sopravvissuta a tutte le verifiche dopo quasi 100 anni. E così sono nate le bolle, le stringhe e Dio solo sa cos’altro. Per ammissione dello stesso Hawking sono teorie che presentano molti più problemi rispetto a quella del Big Bang con singolarità inziale (che non ne presenta nessuna tranne quella di essere inaccettabile per gli atei). Pensano forse che scoprire che l’Universo ha avuto origine da una singolarità che potremmo chiamare Dio ci renderà tutti dei fanatici religiosi? Non capisco. Come dicevo nel mio commento su aNobii io pretendo che la scienza dia la migliore risposta possibile, basata su nient’altro che sull’osservazione e sul metodo scientifico, non certo su quello che gli uomini vorrebbero trovare dietro l’angolo! Con questo non voglio dire che le teorie siano delle sciocchezze a priori: ma mi sembra assurdo dover introdurre, ad esempio, nei calcoli, una costante altrimenti inesistente e inosservabile solo per far quadrare la teoria! Lo fece Einstein introducendo la costante cosmologica perché i calcoli dessero come risultato un Universo stabile (ecco un chiaro esempio di vizio “religioso”) quando le evidenze dimostravano tutte che esso doveva essere in espansione (o in contrazione): però Einstein ammise l’errore e dichiarò che era stato il più grande errore della sua vita.

Annotazione: non voglio difendere il creazionismo: non m’interessa assolutamente. Non voglio neanche combatterlo a priori, però. Consiglio a tutti di provare a leggere qualche libro “universale”: ci sono poche materie così affascinanti come questa!

Un lontanissmo quasar

Lascia un commento

Archiviato in Commenti ai libri, Libri&dintorni, Riflessioni varie ed eventuali

La fabbrica (delle fesserie) di Nichi Vendola

Leggo oggi, su segnalazione, che il Governatore della mia amata (mmm…) Puglia, Nicola Vendola detto Nichi (sob), ha affermato, alcuni giorni orsono, che Carlo Giuliani è un eroe al pari di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Ecco qui la fonte di questa “notizia”:

«Vincere per le donne e gli eroi dei nostri giorni — declina il suo pantheon Vendola — come Falcone, Borsellino e Carlo Giuliani». L’«eroe ragazzino», così lo definisce, ucciso da un carabiniere a Genova, quando «una generazione perse l’innocenza e fece i suoi conti con la morte».

Sono troppo educata per esprimere come vorrei quello che penso in merito a queste affermazioni. Dal 2001, dall’anno in cui Giuliani fu ucciso, non ho requie per quanto riguarda questo episodio. Vorrei che fosse ben chiaro il concetto che io non posso che soffrire per la vita di un ragazzo lasciato sull’asfalto senza motivo, ma altrettanto chiaro vorrei che fosse che mi viene da vomitare nel sentire un probabile candidato premier dire queste stronzate. Perché sulla morte di Carlo Giuliani si può pensare come vuole, dal fatto che se la sia andata a cercare al fatto che Placanica abbia sparato con troppa facilità e sia quindi un assassino.

Ma cosa cavolo c’entra adesso la qualifica di eroe? In cosa Giuliani sarebbe stato eroe?  Qualcuno di passaggio me lo vuole spiegare, per cortesia? E il nesso tra un ragazzino che gioca a fare il guerrigliero e due uomini che hanno messo in pericolo la vita loro e delle loro famiglie, che non hanno avuto per molto tempo una vita degna di questo nome per aver fatto il loro dovere e che alla fine ci hanno lasciato la pelle, in compagnia di altri esponenti delle forze dell’ordine…dov’è?

Coi miei ragazzi abbiamo discusso molte volte del movimento no global, e almeno su una cosa siamo stati tutti concordi: che anche se si condividono gli scopi del movimento, i metodi lasciano piuttosto a desiderare. Una volta in un forum ho anche letto che in fondo un estintore non può fisicamente spaccare un testa. E questa affermazione dove la mettiamo? Non è forse un tentativo illogico di giustificare un comportamento sbagliato che, in primis, ha scatenato il fatto? A me non sarebbe mai successo di lasciare la vita sull’asfalto di Genova, e per non lasciare la pelle in queste occasioni c’è un metodo semplicissimo: non mettersi il passamontagna (si mette il passamontagna chi sa che farà qualcosa di male) e non circondare un mezzo dei Carabinieri minacciando di lanciare un estintore che pesa decine di chili all’interno. E non perché non sia giusto manifestare ma perché una situazione simile non corrisponde ad una manifestazione ma ad un assalto. E non ci sono santi ai quali appellarsi per discutere questo semplice fatto.

Falcone e Borsellino sono due baluardi della civiltà e per portare quella luce e quella speranza che hanno irradiato non hanno avuto bisogno di portare alcun passamontagna. Si sono messi sotto a lavorare, sono stati cittadini modello. E’ questo che la maggior parte dei ragazzi idioti che va a manifestare non riesce a concepire, perché immersi in quel sistema che dicono di odiare molto di più degli altri che contestano. Non capiscono che manifestare non serve ad un tubo se poi non si diventa bravi cittadini. Pochi sono bravi cittadini. Prendersela coi politici è una comodissima scappatoia per non guardare se stessi. La classe politica è espressione della società, se la società fosse migliore sarebbe di conseguenza migliore anch’essa. Ah, ma c’è la barbarie che dilaga ai giorni nostri e la tv che rende tutti idioti. Balle spaziali. Non passa epoca nella quale non si deplori il rovinoso decadimento del presente versus un passato migliore. Basta leggere Esiodo per saperlo. E molti altri! Tutti pensano sempre di essere arrivati al capolinea della morale, dell’intelligenza e del gusto, e anche questa è una balla spaziale. A mio modo di vedere se è vero che la tv contiene moltissima immondizia – ed è senz’altro vero – siamo anche molto fortunati a vivere in un’epoca nella quale abbiamo gli strumenti culturali per criticarla. E li abbiamo, tutti, indistintamente, solo che a molti semplicemente non interessa farlo. Gli imperatori romani davano alla plebe romana pane e giochi gladiatorii, a dimostrazione che, da sempre, alle persone interessa solo questo, e in modo molto più consapevole di quanto gli intellettuali credano, abituati a considerare il popolo come bestiale.

Gli eroi sono quelli che sacrificano la vita per gli altri. Carlo Giuliani non ha fatto nulla del genere, anzi ha messo in pericolo vite altrui in un gioco spericolato, sorretto o no da giusti ideali. Ho rispetto della sua morte e del dolore della sua famiglia, ma questo non cambia i fatti. E la cosa più assurda di tutte è che un  candidato premier probabile abbia detto una simile blasfemia da far rivoltare tutta la Decenza che è rimasta. E, a proposito, di quale innocenza parlava? Non è ben chiaro. E’ una stupida frase fatta da romanzo d’appendice.

A proposito di Vendola. I Pugliesi si sentono tanto fieri di aver votato un omosessuale come Governatore, si sentono “avanzati”. In realtà, invece, molti di loro sono così arretrati da non aver saputo rinunciare a votare un personaggio che fa clientelismo da vecchia Dc. La Puglia è amministrata malissimo, ha un debito altissimo che non può far altro che crescere. I miei amici elettori di Vendola osannano Nichi e le sue fabbriche e parlano incessantemente del “nuovo” che avanza e delle opportunità che finalmente si sono create per i giovani pugliesi. Strano: quasi tutti i miei amici sono senza lavoro e hanno oltre trent’anni. Mi sono state riferite delle cose da persone delle quali non ho motivo di dubitare, che non riporto appunto perché non le ho viste coi miei occhi, ma alle quali credo. Povera terra mia! Poi mi viene da ridere quando sento le persone del nord che si lamentano dei loro governanti. Magari sbagliano, ma si provassero, questi signori, a vivere in una Regione del Sud e a scontrarsi ogni giorno con la corruzione e i disservizi. Mi sento fortunata ad abitare in Lombardia, anche se la mia terra mi manca in maniera quasi insopportabile. Ma non ci tornerei, se non a patto di cambiamenti veri e non parole deliranti sugli eroi.

2 commenti

Archiviato in Senza parole

Charles Dickens – Il circolo Pickwick

Il circolo Pickwick rappresenta l’esordio letterario di Charles Dickens: pubblicato in 19 puntate fra il 1836 e il 1837, riscosse un grandissimo successo, regalando notorietà e guadagni al giovane scrittore. La genesi di questo libro – che, a rigore, non si può neppure definire un vero e proprio romanzo, almeno nella prima parte – è inusuale per noi (non così per l’epoca): i fascicoli erano originariamente dei veri e propri commenti alle vignette umoristiche di un famoso disegnatore dell’epoca, tale Robert Seymour. La morte prematura dell’illustratore e la determinazione di Dickens a svincolarsi dalla tirannia della vignetta determinarono ben presto la subordinazione di quest’ultima al testo, sovvertendo il progetto originario. La tiratura del primo fascicolo fu di 400 copie, quella dell’ultimo di 40.000: un successo strepitoso per l’epoca.

In effetti la natura della pubblicazione sembra, qui più che altrove, determinare la struttura particolare del romanzo, che, almeno fino alla metà circa, non possiede una vera e propria trama, ma si compone diepisodi giustapposti e legati fra loro da un filo conduttore debolissimo, basato sulla presenza degli stessi personaggi. Nella seconda metà, invece, si sente la “deriva unitaria” che riannoda i fili sparsi in vista del finale.

Il circolo al quale fa riferimento il titolo è quello fondato da Samuel Pickwick, gentiluomo ormai ritiratosi dagli affari con una discreta fortuna, che ha deciso di dedicare la vecchiaia alla filantropia e più specificamente alla ricerca sull’uomo; in effetti di cosa di occupi il circolo non è ben chiaro: sembra che nelle sue competenze rientrino interessi svariati ed anche eccentrici (la teoria sui girini ne è un esempio). Quattro membri del circolo, comunque, Mr. Pickwick e altri tre amici, due dei quali molto più giovani, formano una specie di sezione distaccata e partono per raccogliere materiale per la loro ricerca sull’uomo, proponendosi di segnare aneddoti, appunti, descrizioni, storie, resoconti delle loro avventure. E ne avranno ben donde: presto saranno letteralmente sommersi da tutte le manifestazioni dell’umana natura, dalla più benevola alla più maligna, che li condurranno ad avventure spesso esilaranti.

Quel che viene fuori è un poderoso, mirabile, scintillante affresco della società inglese, che non tralascia neppure gli aspetti più sgradevoli: le furberie e i latrocini di certa parte della classe avvocatizia, la disperazione delle classi povere costrette a passare anni se non l’intera vita nelle prigioni per debiti (come tutti sanno, anche il giovanissimo Dickens passò attraverso quest’ esperienza tramite il padre), i truffatori.

Un’altra particolarità del libro è che vi si trovano riportati diversi racconti, ciascuno con un suo titolo, che sono raccolti da Mr. Pickwick nei suoi spostamenti e diligentemente annotati, cosicché entrano a far parte degli “atti del circolo” che sono poi, nella finizione, quelli attraverso cui un ipotetico redattore costruisce la storia. In effetti il narratore è esterno e fa sentire sovente la sua presenza dando giudizi su personaggi e fatti e facendo supposizioni su vari aspetti, spesso – inutile dirlo – con il ben noto umorismo che caratterizza le opere dickensiane.

I personaggi sono tutti splendidi. A dire il vero sono molto diversi dal tipo di personaggio che io prediligo nelle mie letture, per esempio sono molto lontani dall’avere un vero e proprio approfondimento psicologico: eppure questo non fa di loro, come spesso si dice, degli stereotipi. Lo stereotipo appartiene ad un personaggio che ha dei comportamenti prevedibilmente dettati dal senso comune più becero, ad esempio il detective tenebroso che incontra la bellissima donna misteriosa e, dopo aver indovinato il disegno dei suoi seni sotto i vestiti, ci finisce a letto (tipo di situazioni che detesto). Qui invece non c’è nulla del genere.

Su due personaggi in particolare val la pena soffermarsi: il protagonista e il suo domestico, Sam Weller (suo padre meriterebbe comunque un discorso a parte!). Essi sono una coppia che si completa a vicenda: Pickwick anziano, pacato, sognatore, un bel po’ avulso dalla realtà e dalla praticità; Weller giovane, irruento, dotato di quella praticità e anche di quel certo grado di savoir faire, se vogliamo chiamarlo così, che possiede ogni esponente della classe lavoratrice. Weller è il servitore ideale: onesto col padrone ma non alieno da piccoli sotterfugi (rigorosamente contro i malvagi) per il bene del padrone stesso, tenace, divertente, pronto, intelligente. La loro è una vera e propria storia di umano amore, un’amicizia pura, nonostante le differenze di posizione sociale, non ininfluenti, ovviamente, in quell’epoca.

Ho pensato, mentre leggevo, al Sam de Il signore degli anelli e per un momento mi sono chiesta se Tolkien avesse in mente proprio Sam Weller quando ha pensato al fedele servitore di Frodo. Le differenze ci sono, ma le analogie sono molte di più, e la cosa è senz’altro possibile. Lo stesso Pickwick, in effetti, ha dei tratti che lo caratterizzano come una creatura fantastica: questo l’ho pensato soprattutto quando leggevo le numerose descrizioni degli occhi scintillanti, del carattere che ignora la rabbia e invece regala  e sparge mitezza, delle varie sessioni mangerecce a cui il Nostro si sottopone in allegria. In effetti anche il curatore del volume, ho scoperto (leggendo l’introduzione a fine lettura come faccio sempre), la pensa allo stesso modo, chiamandolo addirittura “folletto” e spiegando i motivi per i quali lo ritiene tale.

Un articolo di poche pagine completa la mia edizione ed è davvero molto bello. A proposito di quanto detto prima riporto un passo che mi ha davvero molto colpito:

A ogni essere umano dev’essere accaduto – o almeno è auspicabile che sia così – di trovarsi una volta o l’altra a discorrere intorno a una tavola con gli amici più cari e simpatici, una di quelle sere in cui le varie personalità si manifestano al meglio, quasi schiudendosi come grandi fiori tropicali: ognuno sostiene il suo ruolo come in una deliziosa commedia dell’arte; ognuno p se stesso più di quanto lo sia mai stato in questa nostra valle di lacrime; ognuno sembra la stupenda caricatura di se stesso. L’uomo che ha conosciuto serate del genere comprenderà le esagerazioni contenute nel Circolo Pickwick; (…) Perché Dickens, come ho già detto, è vicinissimo alla religione popolare, che poi è la sola definitiva e degna di fiducia: sa concepire la gioia che non ha fine; sa concepire creature imperiture come Puck o Pan, creature la cui voglia di vivere non può soddisfarsi di secoli né di millenni. Egli non si è fatto scrittore affinché le sue creature copino la vita e ne riproducano le angustie: è scrittore perché essi abbiano una loro vita, e sia una vita esuberante (…) Sia la religione popolare con le sue gioie senza fine, sia le vecchie storie comiche con i loro scherzi interminabili oggi vanno scomparendo di pari passo. Siamo troppo deboli per desiderare quell’immortale vigore. Crediamo sia possibile stancarsi di una cosa buona, idea blasfema (…). Gli antichi grandi sfidanti di Dio non ebbero paura di un’eternità di tormenti, ma siamo al putno di avere paura di un’eternità di gioia. (Gilbert K. Chesterton).

1 Commento

Archiviato in Commenti ai libri

Sulla discussione

Colgo l’occasione, a seguito di un topic aperto sul gruppo anobiiano di King (sì, ancora lui) per parlare di qualcosa che mi sta a cuore.

Oggi per me è stata una gran brutta giornata, in cui ho visto perire a seguito della furia degli elementi diversi libri e altri ricordi cartacei (diari, quaderni, fasci di appunti, disegni e caricature di amici e di vicende della mia vita), quindi è possibile che io sia lievemente incarognita e, contrariamente al solito, molto poco lucida e obiettiva (sì, grazie, ho finito con l’incenso).

Il topic in questione comincia col seguente post:

Oggi per caso sono incappata in quest’articolo …
Ho pensato fosse giusto linkarlo (è probabile anche che molti di voi l’abbiano già letto, in tal caso chiedo venia!):

Quando ho letto l’articolo per un momento sono rimasta perplessa: com’è possibile che la persona che l’ha riportato stesse cercando proprio un articolo simile? Poi mi sono detta: ah, ma ha scritto per caso…in effetti così tutto torna.

http://www.affaritaliani.it/culturaspettacoli/loredana_lipperini_lipperatura150610.html

Ebbene in questa intervista alla famosa Loredana Lipperini (famosa? coff coff) si parla di blog letterari e della loro presunta crisi rispetto alla supremazia di Facebook (una supremazia che solo un cieco non vedrebbe) e poi, magicamente anzi ex abrupto, la signora Lipperini cita il famoso topic di cui ho parlato a proposito della traduzione di King, altrimenti intitolato Kill Ming1 (naturalmente nella testa di persone selezionatissime). Ma guarda un po’ che curiosa coincidenza!

Si comincia di nuovo a parlare di quella discussione, che, secondo alcuni, è stata un’ottima occasione persa per dialogare col Nuovo Traduttore Kinghiano; e la colpa è tutta del gruppuscolo di bulle internettiane che hanno impedito ai volenterosi di attingere alla Fonte della Traduzione e della Collaborazione. Io ho ribattuto quanto segue:

(…) Non so se il riferimento alle offese e agli insulti alluda a me: tanto per fare un esempio, però, quando ho scritto, in quella discussione, che è un gesto maleducato criticare pubblicamente il lavoro di un collega (mi ripeto: come se io, nella mia classe, criticassi il metodo di lavoro e i risultati del collega che pure non mi piacciono), non ho insultato né offeso nessuno, semplicemente rilevato un comportamento a mio parere sbagliato e che continuo a ritenere tale; quando qualcun altro ha usato la parola “stipendiato” la malizia ha albergato solo nell’occhio del lettore. Io sono una stipendiata dello Stato, ancorché precaria, e la cosa non implica alcun asservimento da parte mia o altre possibili implicazioni negative che sono venute in mente a chi ha contestato il termine.
La parola discussione può implicare, e questo non è un parere, anche degli scontri più o meno accesi, e chi non è pronto ad averne è meglio che, dalle discussioni, si tenga fuori. Chi si lamenta sempre di subire attacchi e si ricama intorno la figura di vittima è noioso e falso (ma questa è un’opinione).
Il topic di Wu Ming 1 è stata un’occasione sprecata? Per meritare questa patetica (in senso etimologico) definizione avrebbe almeno dovuto contenere qualche sforzo di risultare interessante, specie da parte di coloro che deploravano i cosiddetti attacchi, invitando a sfruttare l’occasione. Secondo me non c’è stata una sola domanda pertinente che fosse anche non banale e interessante. L’occasione, pertanto, è stata sprecata
in primis da chi intendeva coglierla.

Ed è esattamente quello che penso: in quel topic le domande pertinenti erano nella migliore delle ipotesi banali, nella peggiore idiote (avete presente i giornalisti che chiedono alla madre di un ragazzo ucciso “cosa prova in questo momento”?). Naturalmente non voglio dire che non dovevano essere poste, ma definirle, nel loro insieme, un’occasione sprecata è decisamente ridicolo.

Questo post si intitola Sulla discussione perché si è parlato anche di cosa sia una discussione, in modo molto marginale, in verità. Siamo state accusate di fare del bullismo con le parole, e allora analizziamo il significato del vocabolo. Come scrivevo anche su aNobii la lingua non conosce casualità: discussione si chiama in questo modo per un motivo. In latino discussione si traduce prevalentemente coi termini controversia e disputatio: due termini che non indicano assolutamente nulla di pacifico e di politically correct. La parola discussione, però, deriva da discussio sostantivo e dal verbo discutio, che si traducono coi concetti di “scossa” e di “scuotere, sventrare, squassare” e ancora “sbaragliare il nemico in battaglia, eliminare, dissipare”. Nulla, insomma, che ricordi anche solo da lontano le discussioni annacquate alle quali alludono certuni.

Con questo non voglio dire che ci si debba menare verbalmente, insultare, aggredire gratuitamente: infatti io non l’ho mai fatto, e invito l’eventuale lettore che la pensi diversamente a postare link che dimostrino il contrario. Però discussione implica spesso, oltre all’incontro, anche lo scontro, talvolta acceso, talaltra anche violento (nelle posizioni e nelle idee, sia chiaro). Non c’è nulla di male in questo, se si rimane nei limiti dell’educazione, se si baccaglia sui concetti e non si dànno, ad esempio, giudizi gratuiti sulle vite altrui che non si conoscono. Liquidare come bullismo dei post lunghi, argomentati, con riferimenti, link, idee è la scappatoia ideale per chi non sa rispondere, tutto qui.

11 commenti

Archiviato in Riflessioni varie ed eventuali, Senza parole